Carlo Cupini, frammenti per una biografia
di Stefania Severi

 

 

Carlo Cupini è nato a Frascati (Roma) il 2 marzo del 1933, dove la famiglia risiedeva.
Ha studiato, dal 1940 al 1951, nel celebre Nobile Collegio Mondragone di Frascati, istituto dei Gesuiti, dalla prima elementare al terzo liceo classico. Il padre, il Professor Oscar Leonardo Cupini, era docente di latino e greco nella scuola e aveva voluto che lì studiassero i suoi cinque figli, Carlo, Giovanni, Giorgio, Renato ed Enrico, mentre la figlia Maria Isabella frequentava il contiguo Istituto delle Suore del Sacro Cuore.
Carlo trascorreva i periodi estivi presso la villa del nonno materno, a Miren (Merna in italiano), in Slovenia, non lontano dall’attuale confine con l’Italia, dove questi aveva una conceria di pellami. Amava correre lungo il fiume Vipacco, che scende dalle montagne per divenire affluente dell’Isonzo.
A scuola è stato un allievo bravo, acuto e spiritoso, tanto da disegnare garbate caricature dei suoi compagni. Era anche uno sportivo, ed amava il calcio; fu lui, nella squadra del San Giorgio, nel ruolo di centromediano, a segnare uno dei due goal
che consentirono alla sua scuola di avere la meglio su un altro famoso istituto religioso, il Massimo di Roma.
Carlo abitava con la famiglia a Frascati ma passava buona parte del tempo al Collegio che fu per lui ben più di una seconda casa, infatti vi abitò anche con la famiglia quando l’abitazione di Frascati fu distrutta dai bombardamenti.
Portava con orgoglio la cravatta del Collegio, contrassegnata dal Drago di Mondragone. In seguito, varie vicissitudini portarono alla chiusura dell’istituzione, ma gli ex allievi, riuniti in una associazione nata nel 1922, hanno continuato a farla vivere creando anche un giornale che, nel 2001, è diventato on-line. Anche Cupini scriveva su “Il Mondragone”: in un numero straordinario pubblicò i ricordi del bombardamento subito dall’edificio; nel 2001, nell’articolo “Forse hanno chiuso me fuori” confidò le sue sensazioni di fronte al complesso chiuso. Ancora nel 2003 affidò al giornale due poesie, “I pini di Mondragone” e “Ricordi di Mondragone”, entrambe intrise di nostalgia.
Proprio dai genitori e dalla scuola aveva assorbito l’amore ed il rispetto per la cultura, soprattutto umanistica, e nel tempo l’aveva conservata e ampliata,A Roma frequentaval’Università di medicina e si
laureava nel 1957.Ha prestato il servizionella scuola alpina della Guardia di Finanza, a Predazzo (Trento).
Tornato a Roma, si dedicava alla professione medica con umanità e grande preparazione:era patologo, specializzato in Medicina del Lavoro. Fin dall’infanzia aveva dimostrato attitudine al disegno ed alla poesia

 

La madre lo aveva educato ad osservare le cose e a ritrarle dal vero. Attenta lettrice di Rainer Maria Rilke, aveva instillato nel figlio l’amore per il creato e lui dal poeta tedesco aveva imparato a vedere le cose ed a cogliere in esse l’anima palpitante.
Durante l’esercizio della professione medica aveva coltivato, sia pure marginalmente ma con passione, soprattutto la fotografia, con esiti apprezzabili, tanto da riscuotere consensi in mostre di settore. Ma intanto si dedicava, sia pure saltuariamente, al disegno, pittura ed alla poesia. Vedendo i suoi ottimi esiti nella pittura era stato il cugino, il pittore Goffredo Cupini, ad incoraggiarlo a perseverare. Erano i primissimi anni Ottanta.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, in occasione di alcuni avvenimenti dolorosi tra i quali la morte dell’amatissima madre, nel 1989, decideva di rivedere il proprio rapporto con la società e con il mondo: abbandonava la professione medica per dedicarsi totalmente alla pittura.

Iniziava ad esporre nel 1990 e da allora le mostre personali si sono susseguite con ritmo sistematico. Ha partecipato ad alcune collettive di prestigio, in Italia e all’estero (New York). Ha allestito personali in prestigiosi spazi pubblici con il patrocinio delle istituzioni: nel 1993 e nel 2000 al Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, nel 1994 al Castello Aragonese di Taranto, nel 1997 al Palazzo della Provincia di Macerata, nel 1999 al Palazzo Comunale di Acquasanta Terme, nel 2002 al Palazzetto dei Nobili de L’Aquila.
Intanto nel 1993 sposava Maria Grazia Di Filippo che l’ha non solo incoraggiato ma lo ha spinto ad esporre, facilitandogli gli incontri, come quello con Vittorio Sgarbi, nel 1997 (tramite il giornalista Carlo Bazzani). Sgarbi, sottolineando la sua “sensibilità per gli oggetti”, lo coinvolgeva in una intervista in diretta su Radio Dimensione Suono. Ne nasceva un rapporto di stima che ha sollecitato il critico a scrivere sulla sua pittura (2000).
Nel 1994 il critico Ferdinando Anselmetti lo includeva tra gli artisti più significativi: “Quelli che contano”; nel 2000 la Fondazione Ignazio Silone di Sulmona gli assegnava il Premio Nazionale per l’Arte; nel 2005 l’Osservatorio Parlamentare di Roma gli conferiva il titolo di “Accademico di Merito”.
Questi sono solo alcuni dei momenti salienti del suo cammino d’artista, ai quali va aggiunto l’incontro con il Principe Carlo Alessandro della Torre e Tasso, avvenuto apparentemente per caso, ma che in realtà si pone come conseguenza di una tappa del suo andare “alla ricerca del tempo perduto”, in una concezione di vita che nel ricordo appassionato ha i suoi momenti di maggiore intensità. Nel 2003 Carlo Cupini, accompagnato dalla moglie, si recava a Duino come sosta di un percorso che lo riportava sui luoghi dell’infanzia, in quella Slovenia dove aveva trascorso tante estati a contatto con la natura.
Aveva donato alla titolare dell’albergo “Dama Bianca” in cui era sceso un suo catalogo e lei, a sua volta, colpita dalla sua pittura, ne aveva parlato al Principe Carlo Alessandro della Torre e Tasso, il quale invitò Carlo a visitare il suo castello di Duino. Ne era nata ben più di una reciproca stima ma soprattutto il riconoscimento di una visione unitaria della cultura e dell’arte che andava ben oltre i confini delle singole nazioni. Subito era scattato l’invito ad una mostra, che si era tenuta nel Castello di Duino nel giugno del 2004, in cui erano stati esposti una ventina di dipinti. A presentarlo era stato Stefano Papetti, Direttore della Pinacoteca di Ascoli Piceno. L’evento è legato ad un piacevole “fuori programma”: la presenza di numerosissime fiammanti rosse Ferrari. Il rapporto tra Cupini e la Ferrari era iniziato in occasione della sua mostra al Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno nel 2000. All’epoca il presidente del Club Ferrari Marche, Natale Vittori, aveva organizzato un raduno di rosse nella piazza antistante il Palazzo ed aveva realizzato una bellissima foto pubblicitaria. Ma una volta pubblicata la foto, i responsabili si erano accorti che sul Palazzo era esposto lo stendardo con il nome di Carlo Cupini.
Gli chiesero pertanto se dovessero ritirare l’immagine, ma Carlo Cupini considerò l’evento bene augurale e volentieri dette il suo permesso. Da allora la Ferrari si propose di fargli omaggio in occasione delle inaugurazioni….un omaggio rombante.
Il Principe Carlo Alessandro della Torre e Tasso, che già aveva in animo di fare del suo castello un centro di cultura mitteleuropea, trovò in Cupini un alleato ed un collaboratore propositivo. Così, nel giugno 2007 era nata l’Accademia Torre e Tasso, una associazione culturale che si propone di incrementare gli scambi di letteratura arte e scienza. Dell’Accademia, di cui il principe è Presidente Onorario, Cupini è stato nominato Presidente operativo. Del resto il Castello di Duino ha sempre avuto una “vocazione” culturale, infatti in passato è stato frequentato dall’Imperatrice d’Austria Sissi, e da personalità quali Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse, Paul Valery, Mark Twain, Victor Hugo, Liszt, Strauss e Rainer Maria Rilke, che vi scrisse le elegie duinesi. Non per caso la madre di Carlo aveva tanto amato Rilke, che aveva soggiornato al Castello per diverso tempo, lasciandovi tracce che sicuramente ella, da sensibile intellettuale, aveva raccolto. L’inaugurazione ufficiale dell’Accademia si è tenuta il 22 settembre del 2007 e nell’occasione Carlo Cupini aveva esposto sei dipinti. In contemporanea, al Castello era allestita anche una mostra dedicata a Rilke, un ulteriore segnale di corrispondenza tra l’artista e l’ambiente.
Dopo la mostra, Cupini ha lasciato al Castello, in comodato d’uso gratuito, i suoi dipinti.
Carlo Cupini è morto a Roma il 7 settembre 2011. Il suo funerale si è svolto nella basilica di Santa Maria in Montesanto,la Chiesa degli Artisti. Qui, nella sacrestia allo scopo attrezzata, solo l’anno precedente si era tenuta una sua personale… ma lui, troppo debole, non era intervenuto.
Carlo Cupini era un raffinato intellettuale che dipingeva ad olio ed aveva acquisito nel tempo una rara maestria tecnica. A portarlo verso l’arte definitivamente era stata certamente la visione umanistica della cultura che, del resto, egli auspicava fosse sottesa anche alle scienze: «Per quanto riguarda la scienza, molto spesso, prevale un fine utilitaristico che non sempre tiene presente il bene dell’uomo.
“Virtude e conoscenza” dice l’Alighieri poiché la conoscenza senza la virtù potrebbe divenire il male dell'uomo".

Attingendo dalle dichiarazioni da lui rilasciate a critici e giornalisti che lo hanno intervistato in occasione delle varie mostre, viene fuori un quadro preciso, anche se molto sintetico, del suo operato.

I suoi soggetti preferiti erano le nature morte. <<Amo la natura morta perché tale filone dà la possibilità alla mia fantasia di costruire immagini attraverso cui comporre un universo simbolico, dal valore filosofico. Le mie opere non hanno la funzione decorativa della natura morta tradizionale, ma alludono piuttosto alle teorie del Vico, secondo le quali il fanciullo si avvicina alla verità attraverso il sentimento...>>.

Soleva realizzare una composizione di oggetti, ai quali tributava un valore simbolico, cosi da creare una immagine che corrispondesse a quella mentale che si era creato. Ma poi, per dipingere, aveva bisogno di vedere fisicamente gli oggetti, cosi da meditare con calma sulla cromia e sulle luci. Nel suo studio conservava, su di un tavolo sparsi qua e là, gli oggetti più disparati: libri, candelieri, pentolini di rame, maschere, soprammobili, un cappello a cono da fata-stregone.... E tali oggetti si ritrovano nella sua pittura, segno che gli attribuiva un valore intrinseco, legato al momento particolare della sua vita. Del resto egli considerava "umani" gli oggetti, poiché realizzati dalla mano dell'uomo ed in grado di sopravvivere all'uomo stesso.

Nelle sue nature morte prevalgono i frutti ma non mancano utensili, libri, spighe, strumenti musicali..., un ruolo fondamentale ha l'ombra che sembra donare ad ogni oggetto il suo spazio.

<<Do spazio all'ombra perché la verità sta tra la luce e l'ombra e tale contrasto mette in evidenza il rilievo dell'oggetto. "L'ombra è di maggior potenza della luce perché più aumenta la luce più aumenta l'ombra" scriveva Leonardo nel suo Trattato sulla pittura. Sul piano filosofico infatti la luce è sinonimo di conoscenza, più sappiamo e più sappiamo di non sapere, perciò in questo caso l'ombra diventa più ampia>>. Del resto amava la natura morta non solo perché, come gli aveva insegnato la madre, ogni cosa è parte del tutto, ma anche per sottrarla alla caducità:<<Io rappresento attraverso un processo di analisi e sintesi, l'effimero, quasi a voler fermare nell'immagine lo scorrere ineluttabile dei giorni>>.

Il ruolo dell'opera d'arte di eternare gli oggetti raffigurati è altresì connesso con quello di eternarne l'autore. All'ansia del disgregamento fisico, che per anni ha pesato su Cupini, gravato da numerose malattie, egli opponeva la sua arte sempre bella, sempre perfetta, sempre splendente di colore e sempre nitida nella forma. Quest'arte adesso vive grazie a Maria Grazia Di Filippo che è sempre stata non solo moglie affettuosissima dell'uomo ma soppratutto compagna partecipe dell'artista.